Il bosco è il luogo che più preferisco quando ho bisogno di stare solo con me stesso, il posto in cui frantumare la mia natura morale, incontrare leggi nuove ed estranee a quelle civili. Un mondo di confine tra il certo e l’incerto, tra l’incanto e la sorpresa, circondato da presenze piacevoli e altre inquietanti, dove posso tornare a casa o anche perdermi. Spazo, che come la mente, è intriso di contraddizioni da indagare: attrae ed al contempo suscita repulsione, nutre e priva, conforta e minaccia, offre angoli di intimo raccoglimento dentro estensioni sterminate e sconosciute che dovrebbero disorientarmi.

Quì si rivela l’archetipo del nostro inconscio e proprio quì si costruisce lo scenario per ogni narrazione problematica mitologica o fiabesca, in quanto luogo iniziatico per eccellenza: il viaggio nel bosco rappresentava la metafora della crescita interiore dell’individuo. Nel bosco avveniva l’abbandono, un incontro, il superamento di prove, la sopravvivenza, il ritorno, il cambiamento.

Friedel Lenz, nel suo libro Il linguaggio immaginativo delle fiabe, nella parte dedicata alla simbologia della fiaba, sottolinea come i paesaggi di ogni racconto siano scenografie atte a rappresentare i mutevoli ambiti dell’anima e, nello specifico, il bosco: “è la dimensione in cui la vita vegetativa delle forze di crescita agisce con immensa abbondanza. Si tratta di un luogo di confine tra mondo sensibile e mondo spirituale. Qui la natura istintiva può prendere il sopravvento, qui si cercano percorsi di evoluzione, ci si può perdere, ma anche trovare la giusta via. Il bosco è immagine di uno stadio interiore ambivalente, che ogni ricercatore spirituale deve attraversare”.

A questo magico mondo boschivo, dunque, si riferisce per lo più il mio lavoro simbolico; il bisogno intrinseco e irrefrenabile che sento di rappresentarlo esprime ciò che non posso esprimere a parole della mia vita, il mio/mia seducente straniero/straniera interiore da mitizzare e rendere nel contempo immagine a me ed allo spettatore, un richiamo all’archetipo dell’inconscio collettivo da materializzare in una mia tavola, un tracciato rivelatore della mia espressività esoterica che si svela mediante un segno, un colore, un frammento di un vecchio libro amato e consumato, infine vivificato nella nuova creazione.